4.3.10

Cattolici in Umbria. Alla ricerca del bene comune. (da "micropolis" febbraio 2010)

Novembre 2008. Le gazzette regionali danno notizia che “in una villa immersa nella quiete e nel verde”, di proprietà della Curia ternana, stanno per incontrarsi alcune decine di politici, amministratori, intellettuali, imprenditori, sindacalisti, tra i più vicini alle gerarchie ecclesiali, coordinati dal “gruppo delle teste d'uovo delle otto diocesi umbre”, convocati da monsignor Vincenzo Paglia, all’epoca responsabile della Consulta per gli affari sociali della Conferenza Episcopale Umbra, con l’obiettivo di preparare un convegno ecclesiale sul futuro dell’Umbria. Il “corrierino” informa che il prelato spera di bissare a livello regionale il recente successo del recente incontro sul futuro di Terni. Qualcuna delle teste d’uovo, in verità, sottolinea una diversità tra le due iniziative: una grande affluenza di pubblico nel raduno ternano (fino a 800 persone), una partecipazione selettiva (200 invitati al massimo) per il convegno regionale, da tenere nei primi mesi del 2009 ad Assisi o a Città di Castello. L’analogia comunque c’è; ed è nell’analisi e nella proposta di Paglia. Il vescovo vorrebbe contrastare, in Umbria come a Terni, il “primato della politica” e contrapporvi la necessità di una “poliarchia”, di un concorso di poteri diversi (non escluso quello religioso), anche competitivo, per realizzare il “bene comune”, portando la regione fuori dalle secche del conservatorismo, e ringiovanire le classi dirigenti.

Il progetto di Paglia, nel frattempo designato a guidare la Ceu, in un anno assai travagliato per l’episcopato italiano e umbro ha conosciuto ostacoli e subìto rinvii. Ha potuto realizzarsi solo il 19 dicembre scorso, nel Sacro Convento di Assisi. All’incontro la Consulta per gli affari sociali ha dato come titolo L’Umbria e il bene comune e lo ha ufficialmente e trionfalisticamente presentato come “una giornata riflessione e di dialogo tra laici, cattolici, rappresentanti delle istituzioni regionali e locali, della società civile, del mondo della politica, di quello imprenditoriale ed economico, dell’università, delle associazioni di categoria e dei movimenti cattolici”.

Sul ritardato svolgimento del raduno su “La Voce” del 15 gennaio scherzava da prete l’eugubino don Fanucci, animatore della Comunità di Capodarco: “Pare che sia andata proprio così: due angeli selezionati tra le Dominazioni, travestiti da Protonotari Apostolici di Prima Fascia (38 cm), hanno incrociato mons. Paglia, neo presidente dei Vescovi umbri, mentre recitava il breviario nel cortiletto dietro la Curia vescovile di Terni, e gli hanno garbatamente ingiunto: “Questo Convegno non s’ha da fare”. Garbati, ma decisi. Educati, sottovoce, flautati, ma decisi. Alludevano al convegno Il futuro dell’Umbria del bene comune”. Aggiungeva: “Il Convegno ha avuto una gestazione talmente laboriosa che s’è dovuto tenere ad Assisi il 19 dicembre 2009… E per quel giorno i due falsi Protonotari Apostolici di Prima Fascia (38 cm), offesi perché Paglia aveva glissato sul loro… invito, hanno ottenuto dal cielo neve abbondante, loro che in cielo hanno più d’un aggancio, di quelli solidi”.

Nonostante le intemperie, tuttavia, al raduno assisiate non sono mancati i politici del Pd, masochisticamente decisi a subire come a Terni le rampogne del Vescovo e dei suoi, pur di essere accettati come interlocutori. Paglia non ha del tutto deluso le loro attese, avvolgendoli in un intreccio di citazioni bibliche, patristiche e conciliari e lasciando intendere che il perseguimento del bene comune richiede “nuove alleanze” e il superamento della vecchia identità di regione rossa: “La Chiesa si pone come anima e presidio per una pòlis sempre più aperta e poliarchica, sempre più libera da ogni pretesa di egemonia”. Per quel che se ne può desumere dai resoconti di stampa gli interventi dei politici (Lorenzetti, Melasecche) risultano generici e imbarazzati, con l’eccezione, forse, di quello di Bracco, che parla dei mutamenti demografici (“il 9,7% di umbri non italiani”).

Qualcosa tuttavia è cambiato dalla primavera del 2008. C’è meno sicumera e trionfalismo; si avvertono i segni della divisione nelle gerarchie e del disorientamento che percorre il piccolo popolo del cattolicesimo praticante e militante. Già il discorso di Paglia sembra alludere alle tensioni del dopo-Ruini, specie quando, insistentemente, chiede ai suoi oltre che agli altri “discernimento”. Dalle relazioni che vengono proposte da quattro “professori” di Chiesa, del resto, non sembrano venire indicazioni chiare e univoche né sull’Umbria del futuro né sul ruolo dei cattolici impegnati. Giuseppe Croce, economista della Sapienza di Roma, non aggiunge molto a quanto si sa già: denuncia la “stasi dell’economia umbra … segnata da un evidente squilibrio tra il capitale umano disponibile, da un lato, e lo stato anemico dei processi innovativi”. L’altro economista, dell’università di Perugia, Pierluigi Grasselli insiste sugli aspetti etici dell’agire economico, reclama dimensione identitaria e concertazione. Il giurista e politologo Francesco Clementi, anche lui dell’università di Perugia, mette i piedi nel piatto, parla di consociativismo e conservatorismo politico dell’Umbria, comodamente adagiata in un “bipolarismo debole” che è anche “confortevole” perché non conflittuale. Ma il clou del pomeriggio assisiate è rappresentato certamente dall’intervento del sociologo Diotallevi, dell’Università di Roma Tre che è tutto diretto all’interno del mondo cattolico ed è una requisitoria perfino nel titolo: Chiesa e cattolici nell’Umbria di oggi: alcuni adattamenti inutili. La domanda che rivolge a se stesso e al pubblico è: “dove mai eravamo noi, cattoliche, cattolici e Chiese umbre, quando si producevano gli eventi della storia che ci ha condotto sin qui?”. La risposta è che se in Umbria resiste una “egemonia” (il riferimento è evidentemente agli eredi del Pci) ciò si deve anche alla condiscendenza dei cattolici. A suo dire “l’Umbria rossa” si fonda su un blocco sociale a cui tutti i cattolici si sono adattati, sia quelli che sono partecipi di un governo locale “monarchico”, fondato sul “primato della politica”, sia quelli che vi si oppongono in nome del centrodestra nazionale. Bersaglio privilegiato di Diotallevi sono da una parte il devozionismo protetto, in cui si è adagiato, nella sua grande maggioranza, il clero, dall’altra un laicato timido e propenso al compromesso con il regime. Da una parte e dall’altra ci si accontenta di “nicchie”. Il risultato è un’alta “identificazione religiosa” e una “partecipazione religiosa” assai bassa. A giustificazione della sua tesi Diotallevi non porta soltanto dei dati statistici, sociologicamente rielaborati, ma la parola degli storici di sinistra: di Lello Rossi che, studiando il secondo Novecento, si interroga su dove finisca il Pci e dove cominci la società umbra; di Gallo e Covino che riducono a zero (o quasi) il contributo cattolico nella costruzione dell’identità regionale.

Non pare che la provocazione di Diotallevi che abbia sortito, ad oggi, effetti significativi e la recente legge regionale sulla famiglia, fortemente voluta dall’associazionismo cattolico di marca ruiniana (il Forum delle associazioni familiari), sembra dimostrare che le strategie fondate sull’adattamento sono tutt’altro che inefficaci, data l’acquiescenza dei cosiddetti laici.

Non stupisce peraltro che l’unica risposta di un qualche peso a Diotallevi da parte degli ambienti del cattolicesimo democratico sia venuta da uno storico, Mario Tosti, presidente dell’Isuc, che ne contesta una lettura della realtà troppo sociologica, troppo appiattita sul presente. Egli invita tutti a riflettere su un passato ecclesiale in cui l’antimodernismo nel primo Novecento e l’anticomunismo nel secondo hanno collocato parti importanti della gerarchia e del clero nel campo della conservazione. Una Chiesa ufficiale molto a lungo impegnata in battaglie interne di retroguardia - lascia intendere lo storico – consegna al presente sia quegli atteggiamenti rinunciatari che Diotallevi stigmatizza sia quei movimenti dai tratti intolleranti e integralisti che trovano a volte spazio nelle parrocchie. L’intervento di Tosti, per dirla tutta, segnala più di un elemento di resistenza alla proposta “neoconfessionalista” di Diotallevi e, indirettamente, di Paglia; e l’intero convegno, come la sua gestazione, mostrano un travaglio del mondo cattolico che non trova adeguata espressione nel dibattito pubblico, quasi sempre cifrato.

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