30.3.10

Brutti, Bracco e il morbo di Alzheimer.

Alois Alzheimer

Non ho voluto guardare gli show postelettorali di ieri sera e stanotte. Sento come un invasione la faccia e la presenza dei figuri che popolano siffatte trasmissioni. Mi capita di pensare che avesse ragione mio padre, malato di Alzheimer, quando all’immagine di uno di loro, non ricordo più quale, si mise a gridare tra la rabbia e il panico: “Signor lei, cosa fa a casa mia!”.

E tuttavia, cercando nell’insonnia delle ore piccole uno spazio in cui parlassero di sport, un telefilm scemo o una di quelle pochade (Lino Banfi, Edvige Fenech e simili) che nottetempo mandano certe tv private, mi sono imbattuto in una delle emittenti regionali. Chi ti vedo? I due cognati, Bracco e Brutti, seduti l’uno accanto all’altro, l’uno per i democratici, l’altro per i dipietristi. Si guardavano sereni, sembravano aver superato le incomprensioni e le tensioni familiari e politiche di cui a lungo si è sussurrato in Perugia. Con loro ho avuto rapporti civili e quasi sempre cordiali. Sono uomini di mondo e di buone letture, in grado di capire punti di vista di sinistra; sono intellettuali che mostrano di rado l’arroganza e la maleducazione francamente odiose di tanti politicanti, persone con cui si può perfino conversare amabilmente. Pure stanotte qualcosa non andava o almeno così mi è sembrato.

Avevano le facce lisce e rilassate, sembravano rinfrancati da una corroborante vacanza. Del resto, nell’aurea tranquillità del listino, non avevano neanche dovuto affaticarsi per la campagna elettorale. Al più qualche cena. Sembravano appagati, e più giovani della loro età anagrafica. Soprattutto il Brutti che, anche seduto, emanava un’impressione di agilità e snellezza. Sorridevano. Di fronte ad elezioni il cui esito certamente accelera la deriva autoritaria, l’emarginazione dei marginali, l’impoverimento dei poveri, sorridevano soddisfatti. Non ho saputo controllarmi. Non so se fosse rabbia o panico, ma mi sono messo a gridare: “Che c’è da ridere?”. Avrò l’Alzheimer?

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