9.3.10

Abbasso il leaderismo.


Stamattina, tramite Facebook, mi arriva un pezzo di Fabio Mussi. Parla di 8 settembre della democrazia, spiega che oggi chi vuole la democrazia non può non essere antiberlusconiano, ricorda i sapientoni e i sapientini che nel Pds-Ds-Pd ripetevano: “Con l’antiberlusconismo non vinceremo mai”. E ricorda, anche, gli ammiccamenti, gli abboccamenti, le aperture di credito per “fare insieme le riforme”. Potrebbe rammentare anche le più recenti complicità, nel furbesco tentativo di semplificare il gioco, nel liquidare chi non ci stava; ma lasciamo perdere.
Il punto, secondo me, è un altro: che questa battaglia, senza trasmettere ai più una idea diversa e forte della democrazia, non riusciremo a vincerla e alla fine ci troveremo ancora nel buio del berlusconismo, con o senza Berlusconi. L’ometto di Arcore è, infatti, portatore al massimo livello della ideologia populista che infetta l’intero sistema politico. La chiave è la seguente: il popolo scelga il suo capo e poi si affidi a lui, senza vincoli, limitazioni e controlli che possano ridurre la sua capacità di azione. La giustificazione teorica è stata che il mondo di oggi non tollera le inevitabili lentezze della democrazia tradizionale e che, si governi uno Stato, una Regione, un Comune, è comunque necessario qualcuno che decida senza tante storie e tante chiacchiere. Un orribile riduzionismo ammantato di efficienza ha caratterizzato questi anni ed ha finito con l’esaltare e potenziare gli effetti del sedimento feudale che sta nel fondo della democrazia liberale italiana e che è fatto di corporazioni, relazioni personali, omaggi vassallatici, clan e “famiglie”. Al problema, reale, dell’efficienza si è inteso rispondere con la concentrazione del potere e con le ideologie “leaderistiche”. C’è ancora chi nell’opposizione politica, e mi viene il voltastomaco a pensarci, dice che la destra, bene o male, un leader l’ha trovato e che il guaio della sinistra e del centrosinistra è che non si trova nessuno con la statura e il carisma necessari. Abbiamo avuto in circolazione stravaganti personaggi che, per mettersi a paro con Berlusconi, non lo chiamavano mai per nome e cognome, ma dicevano “il mio avversario”, “il mio competitore”, come se si trattasse di una gara a due. Non dimenticate mai i nomi di quegli imbecilli. Né dimenticate come, nell’estrema sinistra, al culto della personalità di Bertinotti abbia corrisposto nel suo partito una sistematica distruzione di intelligenze. L’unico dei cosiddetti leader che si è sottratto a questo stile perverso, che ha tentato invano di affermare una idea di collegialità, è stato, pur con tanti errori (primo fra tutti l’aver alimentato la mitologia delle primarie), Romano Prodi; che a sinistra viene oggi esecrato nei discorsi privati e, spesso, in quelli pubblici.
Se di tutto questo ciarpame leaderistico non ci libereremo, la battaglia decisiva contro il berlusconismo è persa in partenza.

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